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Siamo un gruppo di
evangelici a cui piace scherzare e... perché no!... fare un po' di
autoironia con umorismo a volte anche sottile, ma cercando sempre di non
scadere nel volgare.
Nel cammino che vi
proporremo sarete condotti da alcune "macchiette" note all'ambiente
evangelico e cioé:
Gennarino:
l'evangelico aperto a tutte le esperienze
mistiche. Più ce n'è meglio è!!!
Peppino:
l'evangelico calmo e misurato, chiuso a
qualsiasi novità a lui sconosciuta (non si sa mai!).
Gino:
l'evangelico teologo, sborone e
ultra-organizzato!
Maria:
l'evangelica ex cattolica, che ancora
commette... qualche errorino dottrinale!
Ricordiamo che ogni riferimento a fatti o persone è puramente casuale. Negli
sketch si chiamano in causa varie denominazioni, ma il sito è
interdenominazionale. Lo scopo del nostro umorismo è quello di superare le barriere denominazionali
e far capire che, alla fin fine, la denominazione è una cosa inutile (1Corinzi 1:12,13).
Abbiamo scelto un
articolo tratto dal sito del celebre comico
Claudio Bisio
che ci spiegherà:
Cosè lumorismo e come nasce una battuta
domanda da mille punti.
Esistesse una regola e la conoscessi, probabilmente lavrei già
depositata alla Siae o, meglio, allufficio brevetti, avrei già scritto un
manuale, e sarei in panciolle in qualche isola caraibica a dispensare
consigli, correggere battute altrui e godermi i proventi della mia scoperta.
Invece non è così. Non che Piazza Dateo di Milano (luogo da cui sto
scrivendo) sia meno decorosa di Mustique, ma insomma
Buona regola in questi casi (quando si tratta di definizioni, anche le più
ovvie) è affidarsi a un buon dizionario della lingua italiana.
Occasionalmente ho sottomano il De Mauro che alla voce umorismo recita:
Capacità di percepire e presentare la realtà mettendone in risalto, con un
atteggiamento improntato al distacco critico, gli aspetti divertenti e
insoliti, talvolta assurdi.
Sottolineerei parole quali distacco critico, distacco dalla realtà (pur
conoscendola), da se stessi (pur amandosi, ma mai prendendosi sul serio),
dagli altri (per forza). Non esiste umorismo senza un pizzico di cinismo,
senza appunto quel distacco ironico e autoironico che per amor di battuta ci
fa sparlare di noi stessi, di nostra moglie, dei nostri figli, persino di
nostra madre
e a volte non ci ferma neppure di fronte alla morte (restarono
famose le polemiche intorno ad alcune battute dopo la presunta conversione
in punto di morte di Guttuso
non è un refuso, ho detto Guttuso e non
Gattuso, ignoranti!).
Penso al disincanto di Ellekappa, al famoso ombrello chiuso, e rigorosamente
conservato nel didietro, di Altan, con il laconico dialogo: Beh, poteva
andare peggio No.
Questo è lumorismo, sempre consapevole, voluto, cercato e, ahimè, non
sempre trovato.
Diverso è il comico che può essere anche involontario ed è quasi sempre
causato da un errore, un inciampo, una disarmonia, fisica o psicologica:
comico è il nano, il grasso, il calvo, lo stupido, il balbuziente, il
credulone, lavaro, il geloso, il cornuto, il misantropo, quasi mai il
bello, intelligente, generoso e onesto...
Come altresì fa ridere (involontariamente) chi scivola su una buccia di
banana; anche se si fa molto male, il nostro primo moto, incontrollabile, è
il riso, poi magari lo soccorriamo
a questo proposito (sul comico
volontario e involontario) esiste un ottimo saggio di Bergson dal titolo
Saggio sul riso che ci si può comodamente portare sotto gli ombrelloni
luglieschi e fare un po gli sboroni dicendo come minimo la seguente
frase: Guarda, mi è ricapitato tra le mani recentemente, lo sto rileggendo
e lo trovo comunque di unattualità pazzesca!
Per quanto riguarda la battuta, infine, effettivamente esistono delle regole
a cui va poi aggiunta leventuale genialità dellautore.
La principale regola è, a mio avviso, lo spiazzamento. Occorre creare in
pochi secondi unimmagine, e poi la battuta, come una doccia gelata, deve
ribaltare le aspettative del lettore/spettatore facendo crollare quel
castello che si era costruito...
Una decina di anni fa (forse, ahimè, di più) su iniziativa dei soliti
Gino&Michele e di Smemoranda ci fu una specie di concorso alla ricerca della
battuta del secolo: bene, allora vinse la battuta di un mio amico
(combinazione) che ha scritto con me tutti i personaggi che ho interpretato
a Mai dire Gol
sto parlando del grande Walter Fontana e la battuta (cito a
memoria) era: Lei crede in Dio? Beh, credere, diciamo che lo stimo.
Anche qui cè lo spiazzamento di cui sopra, solo che è molto più sottile: se
il verbo credere è usato in maniera prosaica, la frase seguente è quasi
logica, e quindi non comica
credere, non esageriamo, stimarlo è già tanto.
Se si pensa al tristemente famoso detto mussoliniano credere, obbedire,
combattere si ha totalmente ragione nel ritenere la stima uno dei maggiori
ri conoscimenti che si possono attribuire ad un uomo. Il problema è che qui
non parliamo di un uomo, parliamo di Dio, e il Credo (che è pure una
fondamentale preghiera) è appunto la prima testimonianza della fede. In
questo senso o si crede o non si crede, non esistono vie di mezzo. Chi, come
nella battuta di Fontana, cerca di smussare gli angoli di una religione
plurimillenaria sbaglia, inciampa, quindi fa ridere. Scherza coi fanti, ma
lascia stare i santi, dice un vecchio proverbio
ma quando mai, sembra
rispondere il comico.
Beh, detto questo vi lancio io una provocazione: fino a che punto può essere
consentito arrivare per far ridere? E giusto porre un limite? E se sì, di
che tipo? Morale, Etico, Estetico? |